PER ME E PER DAVID MARIA TUROLDO COSA CI HA INSEGNATO LA RESISTENZA
Quell’esperienza ha segnato in profondità la nostra vita e ad essa dobbiamo gran parte della nostra educazione politica, e non solo di quella. Segnato per sempre rimase anche, in particolare ,il nostro modo di intendere la Chiesa, per come la vedemmo e la praticammo in quel tempo: una visione e una pratica anticorporativa, secondo cui la sorte di un suo membro, non importa quanto interno al suo quadro gerarchico non deve contare né farla sussultare più che la sorte di qualsiasi altro, né la sua libertà- e tanto più la sua “potenza”- valere di più o indipendentemente dalla libertà di tutti : gruppi, movimenti , partiti ,persone; o la condizione di cristiano- e di religioso, e di prete – essere costruita su una menomazione o manomissione della propria della propria sostanza originaria di uomo (o donna), di laico, di cittadino ;e le fortune soprattutto mondane, della Chiesa sui fallimenti e sulle rovine altrui Nessun mondo ( e tanto meno nessuna fortezza) da erigere a parte, al posto dell’unico e comune mondo voluto e giudicato buono, vale a dire dotato di un proprio senso e di un proprio valore, da Dio. E in quanto alla funesta divisione tra i cosidetti “nostri” e i cosidetti lontani” avevamo appena finito di leggere, proprio alla vigilia della Resistenza della preghiera alla Vergine”, il Rilkiano” siamo lontani tutti” nella traduzione di Gjaime Pintor, quegli stesso che doveva poi perire nel tentativo di attraversare le linee per unirsi ai partigiani. L’esperienza di quegli anni! Davide e io avevamo oltre tutto l’incarico di assistere le famiglie dei perseguitati politici o di quelli alla macchia che il C.L.N.( comitato di liberazione nazionale) ci segnalava; e quanto ci sarebbe da raccontare sulle straordinarie figure di donne, di compagne che quel lavoro ci ha fatto incontrare: e anche il loro eroismo quotidiano era la resistenza, nel senso più letterale, più concreto e vero della parola. Dicevo: l’esperienza di quegli anni, anni spietati ma ricchi di lucidità e speranza, un’esperienza, dal punto di vista dell’ecclesialità, tipicamente trasversale, doveva insegnarci che la credibilità della Chiesa è tanto maggiore quanto meno essa si pone come uno schieramento fra gli altri (e magari potenzialmente l’unico)quanto più appare come un asilo sicuro per chiunque, senza distinzione di parte( non abbiamo sognato e visto in questa luce Davide ed io, i nostri conventi?), una compagnia offerta all’uomo nel suo cammino, una sponda di cui è bello e confortevole sapere che c’è e che si potrà all’occorrenza appoggiare, uno spazio di libertà e di condizionamento, e anche di riposo, un seno accogliente, materno e fraterno, in cui rifugiarsi per rigenerare le proprie forze attingendo alle sue fonti e alle sue risorse ( queste si ,dirò con linguaggio degli ambientalisti, davvero non finite.Bisogna però lasciarla libera dicustodirle e coltivarle) e da cui ripartire verso le scelte che ognuno si sente o si trova storicamente chiamato a fare, sotto la sua non surrogabile responsabilità. Una presenza discreta, una Chiesa leggera. Una fede se c’è che non ha bisogno di ostentare se stessa, dimostrare i propri muscoli sulle piazze o i propri “ filatteri” nei primi posti, o di essere brandita come si brandisce un’arma. Giova anche riconoscere che molto del patrimonio di credibilità accumulato allora è stato dilapidato negli anni successivi, e bisognerà arrivare fino al Concilio per mettere a nudo le cause e per riprendere il discorso. Un discorso che però è sempre tentato di perdersi. Ma da allora non ci sarebbe più stato per noi - ne c’è ora che il problema si ripropone – nulla da spartire con le altre concezioni, egemoniche od ecclesiocentriche od ecclesiocratiche, della presenza cristiana. Siamo restati intimamente tranquilli su questo punto “ anche se non è stata una vita facile”.
|